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ALCEST - Shelter
“C’è speranza, ma nessuna per noi”, diceva Kafka.
Speranza è la prima parola che mi viene in mente ascoltando Shelter, ultimo lavoro dei languedochesi Alcest. Sarà la copertina, saranno le atmosfere oniriche, sarà che è stato registrato presso i Sundlaugin Studios dei Sigur Ròs e che forse un po’ di quella speranza dev’essere passata per osmosi (la lingua fittizia cantata da Jònsi in molti dei suoi brani si chiama infatti vonslenska, “speranzese”).
E dei Sigur Ròs non sembrano aver preso in prestito solo la speranza, ma anche un po’ delle sonorità. Shelter è un disco diverso da quelli precedenti, e ce ne rendiamo conto fin da subito. Dobbiamo aspettare la seconda metà della quarta traccia per sentire un distorsore degno di tale nome, e questo potrebbe anche essere un bene se ci fosse qualcos’altro a coprirne la mancanza. Opale e La nuit marche avec moi sono fatte di semplici arpeggi ecolalici, con voci armonizzate e layer di sottofondo un po’ tutti diversi ma anche tutti uguali. La ripetitività si fa sentire abbastanza presto e i primi brani scorrono fin troppo lenti. Qualcosa si muove con Voix Sereines che, sebbene altrettanto ripetitiva, dopo quattro minuti ci regala un po’ di fuzz “à la Mogwai” e qualche piacevole sensazione.
Con L’Eveil des Muses il livello resta alto, ma torniamo ai canonici arpeggi spammati per tutto il pezzo, con qualche piccolo overlay di abbellimento. Title track di buona qualità, menzione speciale per Délivrance, probabilmente l’unico brano assieme al già citato Voix Sereines che ha il giusto sound per emergere in mezzo alla nebbia.
Shelter è proprio questo: una grossa e illuminata nuvola bianca. L’atmosfera è serena, ci offre speranza (o riparo, se vogliamo essere fedeli al titolo), ma non ci lascia vedere niente di quello che c’è davanti, se non la forma vaga di due o tre pezzi un po’ diversi dagli altri e la linea di un orizzonte musicale che la band intende forse raggiungere in futuro. Un album di transizione verso qualcos’altro, che ricorda solo vagamente gli Alcest che conosciamo ma che è ancora lontano dalla sua forma finale.
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