
Cannibal Corpse - A Skeletal Domain

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Cannibal Corpse - A Skeletal Domain![]()
La prima è la produzione: dopo tre dischi (Kill, Evisceration Plague e Torture) prodotti da Erik Rutan (Morbid Angel, Hate Eternal) e caratterizzati da un sound tutto sommato old school, la scelta del produttore è caduta su Mark Lewis (ultimi Deicide e Six Feet Under, tra gli altri). I cambiamenti? Notevoli. Il Cannibal-sound diventa moderno e meno saturo, nitido quanto serve ma mai snervante come gli standard death metal del nuovo millennio. Alla Suffocation di Pierced from within, toh, o, per restare in casa, alla The Wretched Spawn.
La seconda novità è che per una volta gran parte del songwriting è toccata a Pat O’Brian e non, come di consueto, ad Alex Webster. E si sente. Se gli ultimi lavori erano caratterizzati soprattutto da un metronomo al limite dell’umano, in A Skeletal Domain è il groove a farla da padrone, con un Mazurkiewicz particolarmente ispirato dietro le pelli. Troviamo così brani che passano da intricate ritmiche mid-tempo al grezzume slayeriano dei primissimi dischi, con tanto di assoli noise ignorantissimi. Esageriamo: la tripletta iniziale non sfigurerebbe neanche su Tomb of the Mutilated.
Infine, ultima piacevole novità, è che George Fisher ha semplificato, almeno parzialmente, le linee vocali. Invece di sbrodolate senza senso, che toglievano efficacia e personalità a certi pezzi degli ultimi dischi, troviamo invece un cantato molto più secco, intellegibile e catchy, quando serve caricato anche di backing vocals. L’effetto? Devastante, alla primi Deicide per intenderci.
Questi piccoli, piacevoli accorgimenti, uniti alla storica solidità del marchio Cannibal corpse fanno di A skeletal domain un signor disco, dall’inizio alla fine, sicuramente tra i migliori dell’era Fisher.
Infallibili.
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