
Il disco della svolta, quello che ha segnato il reale cambio di passo della discografia e della carriera del gruppo e che per la seconda volta segnerà la nascita di un nuovo filone musicale saccheggiato senza ritegno.
I Bathory diventano sempre più il progetto concettuale e artistico di Quorthon, ormai fermamente deciso a relegare tutto nell'atmosfera dello studio di registrazione ed a gestire in prima persona tutto ciò che concerne anche il lato musicale, rimpiazzando e risuonando parti degli altri musicisti coinvolti.
L'inizio con A Fine Day to Die è quasi traumatico considerando i precedenti, e certamente deve esserlo stato per i fan ai tempi; un breve silenzio seguito dal sibilo del vento e dal nitrire dei cavalli che fanno da sottofondo ad un coro epico e soave. Poi, la magia: una chitarra acustica accompagna il canto di Quorthon, pulito, studiato, calcolato e doppiato in produzione. Un urlo interrompe il sogno e la canzone - o meglio, il disco - è una tirata thrash con picchi assoluti nel genere fino al finale con la title-track.
Il suono anche se richiama tutti gli stilemi del thrash è più pulito e calibrato alla perfezione: melodia e violenza apparentemente senza senso si alternano in modo brutale o si amalgamano in maniera unica; Quorthon finalmente inizia a cantare nonostante i limiti più che evidenti. In un certo senso, e senza voler esagerare uscendo dai parametri, ricorda il miglior Kurt Cobain, quello che quando urlava e cantava sembrava si stesse strappando via l'anima pur di liberarsi dal dolore che aveva dentro. Sguaiati, sgraziati e strazianti entrambi, cercando di toccare note che mai raggiungeranno. E' un paragone che mi porto dietro da sedici anni e che non mi leverò mai dalla testa.
Domenica 17 Agosto 2014 13:49
HRD